C'era
un gioco che da bambino (ma anche adesso) mi piaceva
fare tantissimo: ascoltare il rumore dei miei passi
sulla via. E per farlo
cercavo il terreno più adatto, quello cioè che poteva
restituirmene il suono
migliore, perché era di musica che si trattava ed
erano i miei piedi a scriverla
sul pentagramma della strada. Le vie più sconnesse e
un po’ brecciose erano
perfette, poiché il catrame o il selciato di pietra e
di mattoni producevano un
suono spento, piatto, direi anonimo. Il mio calpestìo
invece indicava
esattamente la mia identità: Tommy… a cui piaceva
pensare di esserci anche lui in
questo mondo.
La mia andatura - ora calma, ora più lesta – ne segnava il
tempo raccontando la mia storia, gli incontri, le
parole non dette e sussurrando
i miei stati d’animo. Parlava di me.
Quando poi la città è cresciuta e con lei tutto il suo
frastuono, non è stato più possibile udire quel rumore
e neppure ascoltare la
mia vita scritta nel silenzio, disteso tra un passo e
l’altro, proprio dove era
possibile rimanere soli con se stessi senza timore.
Ora il Covid… e tutto ha taciuto. Le strade deserte,
affrancate dal chiasso e dagli schiamazzi, quasi
assopite in una quiete
insolita, hanno di nuovo ospitato il silenzio ed io ho
ripreso a “giocare”
quell’antico gioco. Piacevole come allora. Ho
ricominciato quel viaggio
interiore quasi dimenticato, riflettendo al ritmo dei
miei passi, su di me,
sulla mia vita, su Dio.
L’hanno chiamata atmosfera
surreale quella che stiamo vivendo oggi, ma per
me non c’è proprio nulla di
irreale, piuttosto penso che sia la città che con
placida ironia si è ripresa
il suo privilegio, quello cioè di essere stata
costruita per l’uomo e il suo
bisogno di relazione. Un luogo dove le persone non
hanno bisogno di urlare
la propria presenza nell’orecchio
dell’altro, ma possono bisbigliarla, discreta e
rispettosa. Uno spazio dove il baccano,
il chiasso e il vocìo si sono spenti e il silenzio ha
permesso la parola.
Di più: con la mascherina possiamo riconoscerci solo
attraverso gli occhi, che non più distratti da visioni
o immagini invadenti, e
a volte anche aggressive, possono nuovamente
“riposarsi” nell’altro.
E abbiamo riscoperto lo sguardo! Per parlarsi. Per capirsi.
L’uomo è tornato a essere un cercatore del volto, e – se è
vero, come lo è – che gli
occhi sono lo
specchio dell’anima, allora è anche tornato ad
essere un cercatore del
Volto di Dio.
Così, nell’assenza che può ospitare il silenzio, il rumore
della vita ha varcato nuovamente la soglia
dell’interiorità, senza la paura di
restare soli con se stessi. Anzi, con il desiderio di
starci dolcemente.
Si sono e si stanno ancora usando milioni di parole per dire
che il Covid ci insegnerà questo e quello, che forse
dopo saremo anche più
buoni e bravi, meno egoisti, più rispettosi, più
cristiani, più… più…, io però
non la penso così. Forse dopo la pandemia, infatti,
saremo tali e quali perché l’uomo
purtroppo dimentica presto. Ciò che credo invece è che
già adesso può
insegnarci qualcosa: l’autocoscienza, il più umano, il
pensiero, l’essenzialità
e il senso della vita, la possibilità di recuperare
un’interiorità e una
spiritualità troppo a lungo sopite e tacitate dal
frastuono, creato appositamente
per non incontrare la paura di ritrovarci limitati,
mancanti, peccatori.
Ma siamo in Quaresima ed è il tempo in cui non è permesso
barare. Questo è il momento di cambiare direzione, per
imboccare una strada migliore,
quella - per intenderci - un po’ sconnessa e
brecciosa, per risentire ancora il
rumore dei nostri passi sul cammino della vita. E poi,
nel silenzio regalatoci
dal Covid, potremo riascoltare la Parola e rialzare lo
sguardo per metterci in
contatto finalmente con Dio che da sempre ci sta
aspettando al crocevia della
verità. Ci vedrà nudi e crudi, come realmente siamo,
con tutti i nostri pregi e
difetti, ma anche noi potremo vedere Lui nella
Misericordia. Perché egli è
Padre e Misericordia è il suo nome proprio. Come
Creatura-fragile-e-mancante è
il nostro. Certo limitata, bisognosa e peccatrice, ma
pur sempre creata a
immagine del Figlio, pur sempre amata.
Poi, sulla strada della Quaresima che porta alla Pasqua, che
attraversa il deserto e a un certo punto incontra il
Calvario, ci fermeremo per
alzare lo sguardo al Crocifisso e vedere la
Misericordia di Dio in atto.
Allora ci sentiremo amati da un amore folle che, solo, può
perdonare ogni cosa all’amato. Può perdonarci.
Riascolteremo ancora il suono dei nostri passi su quel
pentagramma, dove l’Amore ha scritto il suo capolavoro
per l’amato Figlio e per
noi, figli nel Figlio.
Tommy
|