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Se la vita ha un senso...


Il prossimo incontro


Crescendo verso il senso



 

 


          30 aprile - 3 maggio 2014

 

Ti racconto

l'Amore!

 


 
 
     
 
 

C’è una lunga
STORIA D’AMORE
che ognuno dovrebbe conoscere:
la propria.
Sarebbe bello poterla raccontare
a chi è importante per noi,
ma se ci venisse raccontata da chi ci ama,
questo ci metterebbe le ali.

 

 
 


 

Quei chiodi della mia storia
 
 

 

Perché è importante fare memoria della propria storia personale

 

L’approccio all’esistenza umana intesa come “mistero” – mistero che si rivela, mistero da scoprire, mistero che ci fa cogliere l’unità nei frammenti della nostra vita e ci fa ritrovare noi stessi – costituisce il contesto per un’accoglienza sincera della propria storia personale quale premessa irrinunciabile per la risposta al senso della nostra vita.

 


 

Se vuoi conoscermi devi conoscere

la mia storia,

perché la mia storia definisce chi sono.

Se io voglio conoscere me stesso,

per penetrare il significato

della mia stessa vita,

allora anch’io devo arrivare

a conoscere la mia storia.

 

(Mc. Adams)


 

Un progetto orientato verso un fine

 

Nessuno di noi può vivere senza una percezione sufficientemente unitaria di se stesso e della propria identità personale oppure privo di un senso di continuità del proprio essere lungo il divenire della storia, il fluire del tempo.

Infatti l’individuo sperimenta malessere e disagio quando patisce la mancanza di una sufficiente stabilità di sé e ha la percezione che la propria esistenza sia un susseguirsi di esperienze, di eventi che accadono, di fatti accostati l’uno all’altro come frammenti, piuttosto che l’espressione di un progetto orientato verso un fine.

Tale esigenza fondamentale di un senso unitario di sé coinvolge i diversi ambiti dell’esistenza personale, i pensieri, gli affetti, i desideri, gli ideali, la corporeità, i bisogni, le relazioni, e anche il divenire nella storia, vale a dire il senso di continuità del proprio “io” lungo il passare del tempo, tra passato-presente-futuro.

 

(S. Rigon)


 

 

 


 

 

Seduto sotto un albero...
 
 

è difficile immaginare un’altra presenza della natura così carica di significati, di metafore, di allegorie.
Ci accostiamo all’albero e subito abbiamo la sensazione di entrare in un territorio misterioso: lì sogno e realtà si mescolano, e anche noi ci sentiamo assorbire, perdiamo i nostri contorni epidermici, il nostro pensiero si rarefà... diventiamo lo stormire delle foglie; l’anima nascosta del vento che penetra fra i rami, il brusìo delle misteriose presenze che popolano le fronde, gli interstizi della corteccia, il mondo sotterraneo delle radici.


 
   

 

 
 


 
 
Quell'albero che siamo noi
 
 

 

‹‹La Verità deve tornare a sedurre la vita e la vita realizzare la verità. Ciò accade quando la verità si fa vita e viceversa››. Con questa lapidare affermazione di un suo editoriale, Alessandro D’Avenia ci apre la mente e il cuore ad un’infinità di riflessioni: la vita può davvero divenire un delizioso frutto capace di nutrirmi e dissetare ogni mio desiderio? Se dico che per assaporare la vita – e la vita in pienezza – devo camminare nella verità, stabilisco un legame inscindibile tra verità e vita e, di conseguenza, tra menzogna e morte. Queste antinomie, che racchiudono il fulcro centrale della nostra esistenza, sono anche il tema-guida di tutto il Testo Sacro (dall’apertura della Genesi agli ultimi versetti dell’Apocalisse), dove le troviamo singolarmente simboleggiate dagli alberi.

Mi presento: sono l’albero di…

Dio ha pensato gli alberi, li ha creati e poi… gli sono piaciuti così tanto che ha voluto innalzarli a simbolo. Ma cosa – o chi –rappresentano?

 

Tu non sai cos’è un albero. Io ne ho visto uno che era spuntato per caso in una casa abbandonata, un rifugio senza finestra, ed era partito alla ricerca della luce.

Come un uomo deve essere immerso nell’aria, un pesce nell’acqua, così un albero deve essere immerso nella luce.

Perché piantato nella terra per mezzo delle radici, piantato nel cielo per mezzo delle fronde, è la via di scambio fra noi e le stelle.

(A. de Saint-Exupéry, La Cittadella)

                                                                                                      

Dio ha pensato anche l’uomo e, creandolo, lo ha amato; ha poi riempito il mondo di tante diversità di alberi affinché l’uomo, contemplandoli, potesse sempre ricordarsi chi era chiamato ad essere.

Nessuna storia è uguale ad un’altra come nessun albero è uguale ad un altro, e noi siamo chiamati dal Creatore a realizzare e a maturare quell’albero che Lui desidera che noi siamo. In tutta la lunghezza del fusto possiamo scorrere la nostra vita; sugli anelli interni al tronco leggere gli anni trascorsi e comprendere come tutti gli avvenimenti che ne hanno fatto parte costituiscono l’albero che siamo oggi. Ben piantati con le radici nella terra della nostra umanità, cresciamo e stendiamo i rami dirigendoci verso il cielo, verso Dio.

Il Salmo 1 descrive l’uomo che si impegna a camminare lungo questa via della verità-vita come un albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. Coloro che invece camminano lungo la via della menzogna-morte sono inconsistenti come pula che il vento disperde, e la cui via andrà in rovina. La pula (sottilissima pellicola che riveste il chicco di grano) è talmente leggera che durante il setaccio viene portata via dal più lieve soffio di vento: imparagonabile alla vigorosità e robustezza dell’albero.

Antoine de Saint-Exupéry, immensamente affascinato dalla profondità simbolica dell’albero, afferma che esso è “la via di scambio tra noi e le stelle”: che meravigliosa espressione per spiegare anche l’animo umano! La parola “stelle” è racchiusa nel termine “desiderio” (da sideris) che indica proprio il nostro anelare verso il raggiungimento di una meta; il viaggio per raggiungere quelle stelle alberga nel cuore di ogni uomo: il nostro cuore è inquieto e non ha pace finché non riposa in Te, affermava sant’Agostino. Allora la via della verità lungo la quale dobbiamo camminare consiste proprio nel perseguire e realizzare questo desiderio di ri-unirci nuovamente a Dio. Dico nuovamente perché quell’unione è già avvenuta un tempo (infatti non potremmo desiderare qualcosa che non abbiamo già assaporato, spiega Agostino) e nel Testo Sacro essa viene narrata proprio attraverso due alberi, diventati gli alberi più famosi della storia.

 

L’albero della vita e della morte

Dio ha piantato un giardino in Eden e vi ha collocato l’uomo. E cosa rappresenta questo giardino se non il cuore stesso dell’uomo? Infatti Dio gli comanda di coltivarlo e custodirlo. Al centro di questo giardino-cuore il Creatore vi pianta un albero, l’albero della vita, che simboleggia la totale unione e armonia tra Dio e l’uomo, unione ancora non contaminata dal peccato.

La Bibbia di Gerusalemme intitola il secondo capitolo della Genesi “La prova della libertà. Il Paradiso”. Dio ci ama veramente, e quando l’amore è vero ed incondizionato deve lasciare all’altro la libertà di essere riamato o meno. Se la creazione del cuore dell’uomo si fosse fermata solo all’albero della vita, questo amore divino sarebbe stato coercitivo, e quindi non sarebbe stato amore. Per questo a simboleggiare questa libertà Dio pianta nel giardino anche un altro albero, quello della conoscenza del bene e del male. “Conoscere” nella lingua ebraica ha un significato molto più forte e profondo rispetto a quello della nostra lingua: è utilizzato per indicare l’unione sponsale. Il mangiare il frutto dell’albero, poi, rappresenta questa unione in modo ancora più totalizzante e identificativa. Quindi quando l’umanità si ribellerà a Dio e mangerà il frutto di quell’albero, ne diverrà parte e “andrà inevitabilmente incontro alla morte”. Prima del peccato l’umanità aveva il suo centro vitale nell’albero della vita, in Dio; rinnegandolo invece pone come suo centro l’albero della morte: da teo-centrico diviene ego-centrico erigendosi a legislatore del bene e del male. Ma essendo solo Dio la verità e la vita, l’uomo inizia a vivere nella menzogna e ad incamminarsi lungo la via del peccato e della sofferenza.

Egli viene così cacciato da quel giardino, e quindi allontanato anche dall’albero della vita e dai suoi succulenti frutti, gli unici frutti capaci di nutrire e dissetare veramente il desiderio del suo cuore.


 

Il seme nuovo

Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”(Ap 2,7).

Noi siamo riusciti solo a combinare guai… ed ora, tutto è davvero perduto? Abbiamo bisogno di un Salvatore! Solo quel Dio innamorato folle della sua creatura poteva divenirlo: per riaprirci nuovamente il Paradiso perduto si è incarnato e si è lasciato inchiodare all’albero della morte. E proprio grazie alla sua donazione totale, al suo amore incondizionato per noi, ha sconfitto la morte; e dal legno della croce è germogliato nuovamente l’albero della vita.

Questa salvezza ci è donata gratuitamente nel nostro battesimo. Dopo il peccato il nostro cuore è diventato un luogo arido e infruttuoso: con la sua morte e risurrezione Cristo ha posto al suo centro un seme nuovo. Quel seme che desidera ardentemente germogliare e divenire l’albero che è chiamato ad essere. Salvati da Cristo, non ci dirigiamo più inevitabilmente incontro alla morte, perché la morte è stata definitivamente sconfitta: la speranza e la gioia della vita ci è stata nuovamente donata. Ora possiamo camminare verso la rifioritura del giardino creato da Dio, verso il luogo della piena intimità d’amore con Lui.

Grazie a quel seme ognuno di noi è colui che si va compiendo: il nostro impegno sia di “coltivarlo e custodirlo” per farlo germogliare e crescere affinché possa produrre frutti di verità per assaporare nuovamente la vita in pienezza. E in questo nostro giardino-cuore tutti potranno nutrirsi e dissetarsi perché amati.

Esso è il dono più prezioso ricevuto da questo strano Dio che è Amore.

 

 
     
     
 


 
 
       
   

 

Le foglie del mio albero

 

Fiabe, storie e racconti sono dei mediatori che permettono di raccontare noi stessi, perché noi siamo una storia. Narrare la nostra storia ci consente di metabolizzare, di fare un’auto-analisi, superare un evento bello o brutto, così da imparare a crescere: questo è ciò che abbiamo fatto durante l’SPV, dal 30 aprile al 3 maggio.
Diversamente dalle altre volte ci siamo ritrovati per cena, ci siamo presentati e abbiamo iniziato l’incontro. La sera stessa abbiamo parlato dell’albero e lo abbiamo usato come metafora della vita, visto che ha le radici ben piantate a terra, ricorda il suo passato e si proietta verso il futuro; come ognuno di noi, che sa da dove viene ma a volte dimentica di piantare le radici bene a terra, di guardare oltre con la consapevolezza di aver superato quell’evento. Bisogna imparare a raccontarsi per aprire il proprio cuore, perché a volte siamo così distratti o così presi da noi che non abbiamo la consapevolezza delle nostre emozioni e non sappiamo chiamarle per nome, in modo da poterci relazionare con gli eventi che “toccano” la nostra vita.



Le quattro giornate passate insieme si dividevano in lezioni, momenti di svago e momenti di confronto. Il primo giorno, in un piccolo pezzo di legno abbiamo piantato un chiodo come simbolo di un evento della nostra vita che ha cambiato in noi qualcosa, che ci ha dato una direzione diversa. Successivamente abbiamo piantato altri due chiodi: il primo rappresentava come eravamo giunti a quel preciso momento o la sua conseguenza, e il secondo dopo aver visto l’evento con occhi diversi grazie al confronto con l’altro. Tanto è vero che l’essere stati divisi in coppie ha creato nuova sinergia tra di noi. Il raccontare la nostra storia ci ha permesso di scoprire la presenza di Dio in determinati momenti della nostra vita. Ognuno di noi raccontava la propria storia con pianti, sorrisi, a volte con ancora un po’ di amaro in bocca, ma alla fine tutti ci siamo sentiti capiti, rincuorati… liberi. La parte più bella non è stata parlare di sé ma sentirsi ascoltati, aprire il proprio cuore senza la paura di farsi male e la sorpresa di venire ascoltati.


 

Uno dei momenti più sentiti è stata la veglia, dove abbiamo imparato che siamo stati chiamati alla vita da Dio e, anche se a volte lo dimentichiamo, essa ci è stata donata indipendentemente dai nostri meriti o demeriti. Egli ci ama anche se noi gli voltiamo le spalle.
Imparando a raccontare la nostra storia stiamo acquisendo la capacità di conoscerci, e soprattutto di capire che Dio opera ed è presente nel nostro cammino di vita.
Un altro piacevole momento è stato il pranzo con Mons. Giovanni Tani,rimasto con noi dopo aver presieduto la celebrazione eucaristica.
Alla fine ci siamo salutati tra gli abbracci, i sorrisi e la voglia di rivederci al prossimo incontro. Credo che ogni persona incontrata in questo SPV sia una foglia del mio albero perché lasciato qualcosa dentro di me.

 

Spero di rivedere tutti al prossimo incontro!

 

 


   
 
 


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