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Spiritualità

 

 

Accendi le stelle

 

 

di Madre Maria Lucia

 
 
  1. Desideri... come stelle

  2. Dimmi cosa desideri...

  3. Desiderio: attesa e compimento
 
 

 


   Ecco a voi una nuova rubrica intitolata: Accendiamo le stelle! Di che cosa si tratta? Non certo di un argomento riguardante l’astronomia, tantomeno l’astrologia, ma - pensate un po’ - riguarderà il mondo dei desideri, un mondo che ci vive dentro, che plasma il nostro pensare, l’agire, l’amare... insomma il tutto di noi.                                    


 
 

Desideri... come stelle

- Prima parte -

 

Quante volte ci sarà capitato di stare con il naso all’insù e affondare gli occhi fra le stelle, magari in una calda notte d’estate: niente di più bello, entusiasmante, soprattutto romantico se stiamo in compagnia di qualcuno che amiamo... E quanti desideri espressi al cader di qualche meteora che si stacca dagli astri e precipita nel buio. Ma ci siamo mai chiesti perché abbiniamo le stelle ai desideri umani? Basta prendere in considerazione l’etimologia della parola: desiderio viene dal latino de (via da) e sidus (astro, stella) così intendiamo il desiderio come una condizione originaria connessa con la percezione di una mancanza e l’originarsi di un’attesa, di fronte ad un cielo privo di stelle. Insomma, è ciò che ha “a che fare con le stelle”, al di sopra di noi quindi, che ci supera e trascende.

Il desiderio deriva dal cielo, ci collega agli spazi siderei e alla sfera celeste, e oltrepassa la dimensione terra-terra, dove invece noi comunemente ci muoviamo. È affascinante questo filo rosso che congiunge, in modo suggestivo, stelle e desideri, quasi a tracciare un percorso per i nostri aneliti affinché possano giungere “fino alle stelle”. Ma se sono così protesi verso il cielo, i nostri desideri sono per questo irraggiungibili o irrealizzabili?

Sono forse semplici sospiri che lanciamo guardando la volta siderea?

Eppure le stelle sono sempre lì, fisse ai loro posti, quasi a ricordarci che possiamo desiderare, anzi che è necessario, pena la nostra stessa vita priva di senso e di colore. C’è un bel canto che dice: “Ho bisogno di incontrarti nel mio cuore... la stella polare tu, la stella sicura tu, al centro del mio cuore ci sei solo Tu”, l’Altro che come stella è fedele e non cambia posizione, come astro che sorge e mai tramonta.
 

 

“Avere” o “essere” desiderio?
 

Quando parliamo di desideri, subito ci viene in mente la… lista della spesa, cioè un di elenco di desideri possibili, da sciorinare al cader delle stelle o, se siamo credenti, al cospetto di Dio. Li associamo a dei contenuti, quindi, mentre - per prima cosa - essi rimandano ad una struttura psichica. Il desiderio, infatti, è una struttura stessa dell’animo umano prima ancora che si esprima in desideri particolari. La nostra è una struttura desiderante, per cui non sono gli oggetti che suscitano i desideri, ma è la nostra capacità di desiderare che rende gli oggetti desiderabili; il mondo dei desideri non è costituito quindi, da un elenco infinito di cose che mi mancano e che mi piacerebbe avere, ma dall’anelito umano profondo di esistere in pienezza, come persona. Desiderare significa avere volontà profonda di esistere, di avere un senso cui appartenere e per il quale spendere i propri giorni, è un anelito esistenziale, ontologico che non è attivato dalle cose che sono più o meno desiderabili, ma che fa parte della nostra stessa struttura umana.

Ciascuno di noi, dunque, non è solo una persona che “ha” desideri, ma un essere desiderante in assoluto, anche se non avesse più desideri. Quindi il desiderare dovrebbe supporre un “mirare alto” nell’espressione degli stessi, altrimenti rimarremmo nella sfera dei bisogni che - soddisfatti qui ed ora, secondo la propria logica - ci incalzano ulteriormente con la loro fame e sete di soddisfazione ulteriore. C’è differenza infatti fra il dire: “questo lo desidero” e “di questo ne ho bisogno”; quando desidero qualcosa, questo si colloca nell’ambito di un valore, di una scelta (per es. vocazionale: matrimoniale, sacerdotale, vita consacrata), e desiderare una di queste dimensioni vuol dire che si è creata una connessione fra lo stato profondo del mio esistere e quella scelta. Sento cioè che in quella scelta, in quella dimensione di vita il mio cuore batte a pieno ritmo e che consequenzialmente porrò atti per incamminarmi verso quella determinata dimensione di vita. Quando si muove di me la “struttura” del desiderare, la spinta a vivere in pienezza e con un senso, allora la scelta che ho fatto diventa l’espressione gioiosa del mio vivere, desidererò conoscerla e amarla sempre più, valuterò tutto ciò che con essa si connette e ciò che è discordante, avrò desiderio di concretizzarla sempre più e anche di sopportare le frustrazioni e le difficoltà del cammino etc.

Se invece l’aggancio è con i miei bisogni, di quella scelta prenderò solo quello che mi piace al momento, o che penso soddisfi le mie esigenze più immediate.
 
 

Bisogno e desiderio
 

C’è una divario notevole fra bisogno e desiderio, anche se uno prepara all’altro perché il bisogno che soddisfatto genera sempre “fame”, rivela che il cuore dell’uomo è sempre molto più grande e capace di quello che si pensi, non basta infatti al cuore tacitare i bisogni, i quali gratificano ma non “danno piacere”. Quale la differenza? Direi fondamentale, perché il piacere è quella soddisfazione che si ottiene quando si ha consapevolezza che si sta lavorando per qualcosa che ci fa vivere in pienezza, come persona nel bene totale, che è appunto l’esigenza del desiderio. La gratificazione, invece, è un appagamento che si ottiene quando qualcosa colma un deficit, una mancanza. Quando diciamo: “ho tutto, ma mi sento triste”, è perché le cose mi gratificano e tacitano il bisogno immediato, ma non danno senso; invece ciò che dà piacere può anche non gratificare, quando per esempio dico: “nelle tribolazioni sono più che vincitore”, come l’apostolo Paolo. Il bisogno cerca una soddisfazione perché trae vantaggio “per sé”, il desiderio lo cerca perché è bello e prezioso “in sé”. Ne consegue che il bisogno adatta a sé l’oggetto delle sue soddisfazioni, fino anche a violentarlo o manipolarlo, mentre il desiderio lo rispetta nella sua natura, ne percepisce la bellezza e l’approfondisce sempre più.

Il desiderio è una forza che porta con sé dei significati, è quindi una facoltà nobile dell’uomo e un plasmatore di futuro, è incominciare a decidersi perché il futuro si profili in un modo piuttosto che in un altro, desiderare qualcosa è anticipare il futuro e cercare i modi per realizzarlo, è il grembo vitale delle scelte, quando per esse mettiamo in moto la volontà che segue sempre il desiderio. Infatti nella vita vale il detto: “lo desidero, quindi lo voglio”, mentre il suo contrario non funziona, perché volere una cosa non causa e non comporta il desiderarla. Non è infatti la volontà ma il desiderio a suggerire l’azione, per volere bisogna desiderare, perché è il desiderio che dà importanza e significato alle cose, alle scelte, anche se l’importanza attribuita loro potrebbero anche non averla in sé; per esempio, quando attribuiamo valori assoluti a realtà che potrebbero diventare idoli.
 
 

Il desiderio dice molto della realtà interiore più profonda e che governa il rapporto con la realtà esterna. Potremmo affermare: dimmi che cosa desideri e saprò chi sei.
 

 

 

Anno XVIII - 2014 n°1


 

Dimmi cosa desideri...

- Seconda parte -

 

Sembra strano, ma è così. Il titolo ci introduce alla scoperta di una verità che, a prima vista, può sembrare esagerata: la nostra identità è data dalla grandezza dei desideri che ci abitano... e quanti sono, i desideri che ci abitano!

In un articolo passato abbiamo detto che la natura umana è - per struttura - desiderante, per cui non sono gli oggetti che suscitano in noi il desiderio, ma è la nostra capacità di desiderare che rende gli oggetti desiderabili; il mondo dei desideri non è costituito da un elenco infinito di cose che ci mancano e che ci piacerebbe avere, ma dall’anelito umano profondo di esistere in pienezza, come persone. Desiderare infatti significa avere volontà profonda di esistere, di avere un senso cui appartenere e per il quale spendere la vita.

 

Che cos’è il desiderio? Con questo termine (de- sidus, condizione umana associata ad una mancanza... di stelle) si indica quella complessa realtà di sensazioni ed emozioni, di sogni e aspirazioni, solo in parte consapevoli, con cui esprimiamo quanto ci sta maggiormente a cuore, ciò verso cui si dirige il nostro sguardo e che è centrale per la nostra vita. È il mondo dei desideri che rivela la maturità e il grado di libertà di una persona; apprezzare e desiderare ciò che è vero-bello-buono in sé è senza dubbio segno di grande libertà e maturità umana. Il desiderio è una tendenza significativa, quindi, verso ciò che vale, che ha un senso e che ci dà senso.

 

 

...e ti dirò chi sei

 

Cosa ne dice la psicologia? Secondo le scienze umane, il desiderio viene definito molto efficacemente come disponibilità interiore a canalizzare tutte le nostre energie verso un oggetto considerato centrale per la stima di noi stessi. Questa definizione è la stessa di amore, per cui vediamo che desiderare e amare sono quasi la stessa realtà, hanno le stesse componenti psichiche e umane.

 

Innanzi tutto è disponibilità interiore: cioè lo stato interiore di prontezza per una decisione. Per avviarla non c’è bisogno che qualcuno ci spinga o ci persuada, ci convinca, ci sproni perché siamo noi stessi all’interno predisposti per quella decisione. Questo stato interiore ci predispone a vivere di buon grado le nostre scelte, ad aderirvi con l’intelligenza, a motivarci sempre di più con la riflessione e ad aderirvi con il cuore.

Canalizzare: si tratta di organizzare continuamente le proprie energie psichiche (mente, cuore, volontà) intorno ad un centro vitale che continuamente ci attrae senza esaurirsi nell’appagamento, che è tipico invece del bisogno, mentre il desiderio segue il ritmo dell’avanzamento e della ricerca incessante.

Oggetto: per oggetto qui s’intende un’entità “altra” sentita come importante, che ha a che fare con il nostro essere persone e con la nostra identità.

Centrale per la stima di noi stessi: centrale quindi per la nostra identità, da cui dipende la nostra amabilità e la verità della nostra persona.

 

Sant’Agostino afferma che l’amore è una forza tale da unire in uno stesso destino, in una stessa realtà i due soggetti amanti. Amare vuol dire diventar tutt’uno con l’amato, formare un corpo ed un’anima sola, per cui giunge a dire: Ami la terra? Sei terra. Ami Dio? Dovrei dire, sei Dio ma ce lo dice la Scrittura nel salmo 82: “Io ho detto, voi siete dèi, figli tutti dell’Altissimo”.

Ma se amare e desiderare li definiamo allo stesso modo, ecco che possiamo concludere che amare-desiderare sono un’unica espressione profonda della nostra interiorità, del nostro sentirci e saperci persone. Allora, dimmi che cosa ami-desideri e ti saprò dire chi sei, quanto vali, che cosa c’è al centro della tua vita interiore, insomma di che pasta sei fatto.

 

Sarebbe bello essere consapevoli che è questa “dinamo” interiore che ci conduce nella ricerca di ciò che è centrale per noi e che ha la pretesa di appagarci. Purtroppo, data la nostra limitatezza, non sempre riusciamo a vivere così e spesso i nostri sono anche desideri piccoli, asfittici, di basso cabotaggio... Aspiriamo a tanto, desideriamo... le stelle e ci accontentiamo poi delle ghiande dei porci, perché il desiderio-amore, per natura, è ambivalente, ma proprio questa ambivalenza è la garanzia del suo perdurare. Per continuare a desiderare dobbiamo accettare di restare nel mondo del provvisorio, non del compimento. L’uomo è limite e desiderio infinito, per cui se il desiderio esistenziale di esistere in pienezza fosse soddisfatto saremmo già perfetti, ed invece non lo siamo. Il fine del desiderio rimane - rispetto a noi - sempre in una posizione di avanzamento, è raggiungibile ma mai catturabile ed esauribile. Desiderare suppone lasciare aperto un varco, uno spazio di pienezza/carenza, limite trasceso e limite riapparso, per cui nel momento in cui il desiderio pretende di essere esaudito, ecco ci si accorge che l’oggetto che lo ha appagato è sempre ed ancora più in là e si riparte con il desiderare. L’uomo è l’essere aperto all’“oltre”, un esse ad diceva sant’Agostino.

Siamo esseri aperti all’“oltre da sé”, dunque, aperti all’infinito e legati al contingente, e il desiderio è l’atto di oltrepassare questo nostro limite, è la forza che ci fa sempre progredire e andare avanti. Nel suo aspetto contingente ricorda invece la nostra situazione di limite e finitezza, di anelito ad un compimento. I desideri sono proprio come le stelle: brillano, attraggono, ma sono irraggiungibili.

 

Niente può saziare il cuore umano, sempre spalancato verso l’infinito. La situazione esistenziale di cui una persona prende consapevolezza - il suo essere anelante a..., desiderare etc. - può essere frustrante se l’oggetto perseguito è iperbolico, quindi irraggiungibile, o se è sproporzionato con la situazione reale del richiedente. Apre invece la porta al cristiano su un nuovo straordinario orizzonte: quello dell’invocazione, della preghiera.

 

E di questo parleremo prossimamente.

 

 

 

<< [...] Le stelle sono lì nel cielo per ricordarci di riprendere sempre a desiderare: ogni desiderio allarga, non chiude la pienezza. Anzi, dopo essersi compiuto, il desiderio si rigenera e riprende il cammino verso nuove stelle, verso nuove pienezze. Le stelle del nostro desiderio ci portano fuori dall’inferno (“E quindi uscimmo a riveder le stelle”), verso l’ “Amor che move il sole e l’altre stelle”.

E se in fin dei conti, ogni stella fosse un nostro desiderio? E se il cuore, come un cielo di stelle, illumina e brilla perché palpitante di tanti desideri? E tutto ricomincia...>>

 

G. Salonia

 

 

Anno XIX - 2015 n°1


Desiderio: attesa e compimento

- Terza parte -


Abbiamo parlato di desiderio e preghiera e abbiamo visto come, seguendo l’esperienza di Sant’Agostino, sia l’uno che l’altra possono fondersi in un solo grido del cuore.
Non è però così automatico, perché non tutti i desideri che ci abitano sono ipso facto preghiera. Potrebbero essere, invece, meschini, gretti e interessati, autoreferenziali, e non per il solo fatto di essere espressione dei “moti del cuore” essi sono sempre preghiera. Infatti, non ci capita di verificare che spesso essi sono addirittura in contrasto con i valori cristiani? Per esempio, ci sono desideri soggettivi che rischiano di prendere il primo posto nella vita, scalzando gli interessi del Regno di Dio: fama, carriera, salute, attaccamento eccessivo alla vita terrena e via dicendo. La lista delle domande a Dio sono interminabili. Come fare? Certo, non basta reprimerli con la volontà o sforzarci di non pensarli; è necessario evangelizzare, quindi purificare i nostri desideri da tutto ciò che non è conforme al Vangelo, di non consono alla Volontà di Dio.
La preghiera potrebbe diventare un’esperienza poco gratificante nel momento in cui ci accorgiamo di quanto “marasma” e confusione sta dentro di noi, quanti desideri falsi e poco puri proviamo! Non dobbiamo deprimerci, perché a questo punto la preghiera sarà anche il luogo dove emergerà il nostro vero volto, dove potremo purificare la nostra interiorità; è sempre, comunque, autentica preghiera perché ci obbligherà a guardarci dentro e a confrontare i nostri desideri con la Parola di Dio, questa spada a doppio taglio (Eb 4, 12) che mette a nudo le nostre profondità, illumina la coscienza e i suoi angoli nascosti, le intenzioni e i sentimenti.
Nel Vangelo di Luca (11, 13) il Signore dicendo queste parole: Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono, orienta la nostra richiesta ad essere diretta a chiedere non questo o quello, ma Dio stesso, lo Spirito Santo in persona. Infatti, fa eco sant’Agostino, che cosa può bastare a colui a cui Dio non basta? Se Dio non basta al cuore dell’uomo, quanto meno le cose o i beni di questo mondo. Ed ecco allora che i desideri vengono “setacciati”, passati al vaglio della Parola e purificati, lasciando quanto c’è di buono in essi e di conforme alla Volontà di Dio. Pregare così equivale ad educare mente e cuore, affinché possiamo imparare a chiedere secondo il Vangelo.

Sospesi... nel vuoto

In questo nostro itinerario la preghiera del desiderio può conoscere una tappa piuttosto dura: è l’esperienza del non esaudimento, della non coincidenza tra la domanda e la risposta di Dio, tra la supplica accorata e... il vuoto. Il Padre, a volte, tarda ad esaudire il nostro grido, tace. Sembra non ascoltare o addirittura ignorare le richieste dei suoi figli, non si presenta all’appuntamento. Sembra lasciarci sospesi nel vuoto, appunto, tra la domanda accorata e il baratro del non esaudimento: dov’è Dio? Dove la sua promessa: Chiedete e vi sarà dato? Anche il salmo 41, supplica di un’anima assetata che cerca la sorgente, grida: Dov’è il tuo Dio? E così spesso la nostra fede è messa alla prova, è passata al crogiuolo del silenzio di Dio per farci capire che non siamo noi a gestire il rapporto con Lui come lo pensiamo, ma è Lui che sa bene di che cosa abbiamo bisogno e vuole che “ci esercitiamo nel desiderio”, come un allenamento del cuore e ci esaudirà oltre le nostre aspettative, sempre.

Sant’Agostino, che è un ottimo conoscitore del cuore umano e di quello di Dio, afferma che se Dio sembra non ascoltarci subito, lo farà quando meglio crede, perché ci esaudisce in ordine alla salvezza e non quando pensiamo noi; il suo sguardo, infatti, vede ben oltre i nostri corti orizzonti. Dio non accontenta i desideri gretti e rinsecchiti dell’uomo, ma solo quelli infiniti come Lui e quindi alti nelle richieste. Quanto è difficile trovare uno che dica: Di te, o Dio, ha sete l’anima mia! afferma il nostro Santo. Se i nostri desideri non vengono accolti, allora è il caso di ridefinirli, purificarli alla luce del Vangelo, specchiarli nella Parola. Questo sfronda anche la nostra idea su Dio da molti stereotipi: chi è il Signore in cui crediamo e al quale rivolgiamo il nostro grido? Un ente superiore qualsiasi, un buon nonno di famiglia, babbo natale o il Padre di Gesù Cristo?

Non sappiamo aspettare

In questi momenti difficili, a volte drammatici, nasce il vero desiderio di Dio, nasce la preghiera preceduta e preparata dall’attesa e dalla scoperta dell’io, cresce grazie ad una orazione che non cerca gratificazioni, come succede a chi vive una religiosità funzionale (cioè in funzione di esaudimenti facili) che strumentalizza Dio.
È proprio l’attesa che dilata il desiderio, estende la capacità stessa di ricevere, come con un grosso sacco: più lo allarghi più merce ci sta. Più desìderi secondo Dio, più attendi da Lui, più si dilata il tuo cuore ed esso diventa pronto per accogliere, non quello che pensi tu, ma quello che ti vuol donare Lui, che è molto di più: è se stesso. Oggi però non sappiamo più aspettare, abbiamo perso la capacità di attendere; il criterio del “tutto subito” avvelena anche la preghiera e ce la fa vivere da insoddisfatti, da impazienti: “Ho pregato tanto e Dio non mi ha ascoltato; mi sono stancato, ho perso la fede” etc... sono le dichiarazioni più comuni di gente rassegnata e disillusa, che non attende più niente dalla vita, da se stessa e neppure da Dio.

Scavo e conversione

Tutto della vita dell’uomo e del cristiano può e deve entrare nella preghiera: amicizia, amore, dubbi, fallimenti, sofferenze e gioie, paure, ribellioni, scelte di vita e vocazionali, lutti, tragedie: l’elenco potrebbe arricchirsi a dismisura. Non c’è nulla di umano che non possa essere messo in rapporto con la Parola e con la Croce di Gesù. Nella preghiera ogni nostra realtà umana può diventare elemento di confronto tra i nostri desideri e lo Spirito, questo altro dal desiderare umano; un confronto d’altra parte indispensabile, perché la maggior parte delle situazioni elencate si potrebbe prestare a scelte ambigue, e se non vogliamo scambiar fischi per fiaschi o disperderci tra i meandri dei nostri problemi... Possiamo anche affidarci ad una guida esperta, sacerdote o maestro/a di spirito che sia, che ci illumini e orienti la nostra preghiera cristiana, perché anche da qui passa il discernimento dei nostri desideri.
È anche necessaria un’operazione che chiamiamo scavo del desiderio, e che consiste nell’interrogarsi sul suo contenuto e la sua origine, andando al di là dell’oggetto immediatamente sospirato e risalendo di desiderio in desiderio fino a cogliere l’esigenza radicale di bene, di verità, di libertà che è presente in ciascuno e che è espressione limpida del desiderio ancor più radicale di Dio. Scavare il desiderio significa inoltre cogliere in noi una più o meno velata insoddisfazione, riconoscerne i travestimenti, le falsità e scoprire invece alla radice quella cicatrice del divino che è aperta nel cuore di ciascuno, come memoria incancellabile. Quando si raggiunge l’origine dei desideri, come dovrebbe avvenire nella preghiera, si scopre Dio, si scoprono l’immagine e somiglianza divine scolpite nell’uomo interiore.
Questa fase dovrebbe preparare il terreno alla tappa successiva e decisiva della trasformazione dei desideri, la fase della conversione, e la preghiera è il luogo di questa trasformazione.
Scavare il desiderio significa cogliere qualcosa che già è deposto nella natura; conversione del desiderio vuol dire decidere liberamente di pensare e attuare il proprio futuro nella linea del volere divino, volgere il desiderio umano verso Dio e verso ciò che Dio desidera per l’uomo.

Un nemico in agguato

La preghiera del desiderio ha un nemico, la paura, che provoca resistenza perché all’uomo già pare difficile, se non impossibile, compiere la volontà di Dio, rettificare il desiderio; arrivare addirittura a desiderare come Dio... sembra proprio troppo! E così la paura blocca tutto, uccide il desiderio: come superarla?
A questo punto dobbiamo chiamare in causa il dono di Dio che vive in noi: siamo battezzati, siamo cresimati e questa bella realtà cristiana ci dice che in noi abita e opera lo Spirito Santo, che in noi prega Cristo e grida: “Abbà, Padre”. Se noi lasciamo emergere dal cuore queste parole del Figlio, allora saremo certi di parlare ed esprimere i nostri veri desideri, trasformati e convertiti dallo Spirito Santo che prega in noi. San Paolo dice: Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio (Rm 8, 26-27).

Lo Spirito Santo, fonte d’amore che scaccia la paura, infonde anche la forza di “osare” alto, di desiderare come Dio, di desiderare Dio.
Ma la preghiera a questo punto non è più opera nostra: è azione di Dio, è dono, grazia e amore.


La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio...
Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace...
In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio.
Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo...
Dilatiamoci con il desiderio di Dio.

Sant’Agostino, In Ep Gv 4, 6-7

 

Anno XIX - 2016 n°1





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